Storicamente l'antisemitismo, nella forma in cui si è espresso e si esprime, è il prodotto dell'ostilità religiosa (antigiudaismo) alimentata dai cristiani contro gli ebrei che sono stati accusati di essere tutti insieme, come popolo, i responsabili dell'uccisione di Gesù (deicidio). Questo non significa, ben inteso, che le autorità ecclesiastiche abbiano volontariamente e consapevolmente ispirato il razzismo antisemita, che spesso hanno invece duramente condannato. Ma ciò non toglie che questo razzismo si sia sviluppato proprio nei paesi cristiani e, fino a questo secolo, solo in essi, nell'alveo di una condanna religiosa che è rimasta inalterata per quasi duemila anni, fino al concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Al tempo di Cesare e Augusto - quando Roma estendeva il suo dominio sul mondo Mediterraneo - gli ebrei, pur conservando ancora il loro centro territoriale e spirituale in Palestina, erano disseminati in tutto l'Impero Romano ed anche oltre le sue frontiere, dove professavano la credenza in un Dio unico. Ma fu dopo l'occupazione romana della Palestina che gli ebrei avevano dato vita a frequenti ribellioni. Le autorità imperiali, costrette spesso a intervenire militarmente per ricondurre all'ordine quella turbolenta provincia (il punto culminante della repressione fu la distruzione del tempio e della città di Gerusalemme nel 70 d.c.), nutrivano nei loro confronti sentimenti di ostilità e diffidenza che si indirizzavano anche verso le numerose comunità ebraiche della diaspora, quelle cioè che si trovavano sparse in diversi territori del bacino mediterraneo. Di questo atteggiamento furono vittime anche Gesù e i suoi seguaci cristiani che, per molto tempo, furono considerati a Roma come una setta ebraica. Ma per i cristiani, quando i discepoli originari di Gesù erano ormai scomparsi nella distruzione di Gerusalemme, era essenziale segnare la separazione fra la propria religione e quella da cui essa derivava. Nacquero così le principali accuse contro i giudei, di cui Giuda, il traditore di Cristo, diventa l'emblema stesso. Essi sono considerati colpevoli non solo di non aver voluto riconoscere la divinità di Cristo, ma addirittura di averlo messo a morte.
È appunto l'accusa di deicidio il marchio di infamia che nel mondo cristiano accompagnerà gli ebrei per quasi duemila anni. In ragione di questa accusa essi vennero emarginati dalla società, privati di molti diritti e costantemente guardati con diffidenza. Anche la violenta repressione di cui fu oggetto la loro rivolta contro i romani e il fatto stesso di vivere perseguitati, lontano dalla terra d'origine, vennero subito interpretati dai teologi cristiani come un segno della giusta punizione che essi avevano meritato con il loro delitto. Le masse cercarono di far ricadere le responsabilità delle proprie frustrazioni e delle proprie disgrazie su un "capro espiatorio": gli ebrei. Alla metà del 1300 si accusarono gli ebrei di avvelenare i pozzi e diffondere il morbo della peste, spinti dal loro odio per i cristiani senza curarsi del fatto che essi stessi ne sarebbero morti. E' da qui in poi che la storia degli ebrei cambiò tragicamente. Essi venivano ormai individuati come un gruppo etnico, con precisi connotati biologici, dal quale nessuna conversione religiosa consentiva di uscire. Questo fu evidente all'inizio del 1500 in Spagna, dove i re cattolici Ferdinando e Isabella decisero di cacciare dal loro regno tutti gli ebrei che vi abitavano. Furono cacciati 100.000 individui. La "nazione ebrea" restò così al bando delle comunità cristiane per molti secoli. Soltanto nel 1781 l'imperatore d'Austria Giuseppe II emanò una patente di tolleranza (Atto legislativo che concede la libertà di religione ai gruppi non cattolici tra cui gli ebrei) per gli israeliti, mentre la Rivoluzione francese pronunciò a sua volta la piena equiparazione degli ebrei agli altri cittadini nel 1791.
La "emancipazione" degli ebrei fu successivamente sancita nel corso dell'Ottocento dagli altri Stati europei, tra cui il Regno di Sardegna nel 1848, il Regno d'Italia nel 1861, la Gran Bretagna nel 1866, la Germania nel 1870. Assai dura per tutto l'Ottocento restò, invece, la condizione degli ebrei in Russia, in cui l'annessione delle province polacche aveva inserito più di un milione di israeliti; l'assassinio di Alessandro II (1881) provocò sanguinosi massacri di ebrei (pogrom), favoriti dal governo, che si ripeterono negli anni seguenti, provocando migliaia di morti. L'antisemitismo però non scomparve nei paesi in cui gli ebrei erano stati emancipati; esso continuò a serpeggiare virulento all'interno di circoli culturali e di gruppi politici di orientamento reazionario e nazionalista. Il razzismo antisemita prese poi nuovo vigore dopo la grande guerra, con manifestazioni particolarmente violente e irrazionali in Germania, dove il nazionalismo stimolato dalla disfatta addossò agli ebrei e ai socialisti la responsabilità della sconfitta, aprendo la strada alle farneticazioni di Hitler, che indicò negli ebrei la causa di tutte le disgrazie del paese. Gli ebrei, quindi, di nuovo, assunsero il "ruolo" di capro espiatorio...